Domenica 27 maggio 1951.
Proprio mentre si svolgevano in tutta Italia le elezioni amministrative, a San
Giovanni alla Vena - nel pisano - quattro bambini di età compresa tra
i 6 e i 10 anni furono investiti dallo scoppio di una mina, residuo di guerra:
due di essi morirono. Un altro per lo stesso motivo morì a Sant'Agata
de' Goti; un altro ancora morì ad Ancona. A distanza di 6/7 anni sembrava
di essere ancora in guerra. Quel giorno in modo particolare.
In tutta Italia si susseguivano temporali che provocavano allagamenti e gravi
danni alle già poche ricchezze. Gli straripamenti interessarono un po'
tutti i fiumi dell'Italia settentrionale: il Sesia straripò a Ghemme
allagando buona parte della campagna, come pure a Carpignano, dove venne evacuata
la cascina Ferrera minacciata dalle acque. Fu una pessima gionata quella del
27 maggio 1951, ma la vita continuava. L'Internazionale inflisse una severa
sconfitta al Novara per cinque a zero, nonostante le prodezze dell'intramontabile
Piola, mentre il Milan capolista del campionato con 58 punti, riuscì
fortunosamente a pareggiare a Firenze con un gol di Gren. La Pro-Patria vinse
in trasferta contro l'Udinese, così come il Bari a Vicenza, la Lucchese
sull'Atalanta, e la Juventus sulla Lazio. Vi furono 4 due in quella domenica
di calcio inserite nella schedina vittoriosa della SISAL. Essi consentirono
- a spoglio avvenuto - di contare un solo "13", e questo fece
improvvisamente conoscere in tutta Italia un piccolo centro rurale chiamato
Prato Sesia, e la fortunatissima vincitrice: Rosina Bazzoni, operaia trentunenne,
nubile ed orfana di genitori. La cifra totalizzata con quella vincita fu strabiliante
per quell'epoca, ed assommava a £. 85.171.374.
I giornalisti arrivarono già la sera stessa mentre ancora stavano terminando
le operazioni elettorali. Dal giorno seguente cominciarono a giungere persone,
e tante, tante lettere. Centinaia, migliaia di lettere. Provenivano da tutte
le parti d'Italia, e perfino dall'estero. Erano scritte da tanta povera gente
che non conosceva bene il nome della vincitrice, della via in cui abitava, del
paese, e nemmeno della provincia, ma che comunque grazie alla immediata popolarità
di Rosina giungevano regolarmente a destinazione.
Da quelle lettere si ricava una "fotografia" interessantissima
su quel particolare periodo storico. Tante storie di vita in una Italia povera
dove la ricostruzione tardava a venire. Tante storie drammatiche che ricordano
la guerra, che raccontano la miseria, la disoccupazione, le malattie. Lettere
che chiedono a Rosina un po' di tutto, anche i semplici stracci che lei non
userà più: "se la gà dei stracci che non gli servono
a lei".
Si va dal pressante e drammatico ricordo della guerra che ha lasciato profonde
e laceranti ferite a causa dei bombardamenti subiti, di perdita di congiunti,
di distruzione della casa e degli effetti personali, di prigionia:
"la terribile
catastrofe della guerra ha distrutto tutto quello che di più caro avevo,
compreso i miei cari genitori periti in un bombardamento, e la mia casa".
"siamo stati sinistrati dalla guerra e pure dopo tanto che è finita,
ancora non abbiamo avuto possibilità di fare neanche la minima parte
di quello che ci è stato distrutto".
"poi venne la triste guerra e fui costretta andare per gli orti a coltivare
la terra per poter mangiare, sfamarmi, e salvarmi dai malanni e dalle insidie"
"mio marito tornò dalla Russia ammalato di TBC l'ho curato per 3
anni vendendomi biancheria, mobili tutto per salvarlo ma non ho fatto nulla
gli ho allungato la vita di 3 anni, ecco quello che ho fatto"
Mentre per alcuni il ricordo della guerra diventa inevitabilmente il rammarico per i tempi in cui si stava meglio, perché in effetti, sotto il profilo economico, durante quegli anni non si era ancora riusciti a raggiungere il benessere precedente al conflitto mondiale:
"io ho dato tutto
per la Patria, ma ora quelli che stanno bene, non pensano più ad aiutare,
sia pure nei nostri diritti, quelli che soffrono da anni in silenzio, poiché
la dignità non dà loro la forza di elemosinare"
"pensare che solo un tempo mi trovavo in agiatezza, e purtroppo oggi mi
trovo in condizioni di domandare aiuto per ottenere un piatto di minestra".
"sono stufa di tante rovine, un po' il periodo della guerra che proprio
noi ci siamo capitate, all'età di un fiore colpita dall'abisso che ne
ha condotto la rovina e la sconcordia, mentre che eravamo in pace e tranquillità".
E' insistentemente presente il problema della salute perché i più diseredati, quelli che non hanno di che sfamarsi, sono coloro che ne risentono maggiormente, e sono i più esposti alle malattie infettive:
"una piccola offerta
anche se piccolissima, mi aiuterà almeno moralmente a lottare contro
questo destino così crudele, e poter strappare dalla morte almeno mio
figlio"
"io con 3 figli, con un nipote orfano paralitico e anemico a causa dei
bombardamenti, soffriamo letteralmente la fame, scalzi e svestiti, ma il dolore
più grande è che non vorrei perdere la bambina per mancanza di
tutto"
"la nostra felicità fu tanto breve che ricordando ora mi sembra
un sogno".
Si toccano i problemi del lavoro con la crisi delle fabbriche impegnate nella riconversione produttiva, e le condizioni dei lavoranti agricoli il cui impegno è limitato a poche ore settimanali con stipendi da fame; e peggio ancora la disoccupazione con i conseguenti passaggi all'emigrazione:
"all'infuori della
zappa non vi è nulla, è inutile discutere siamo abbronzate come
terra, la terra frequentiamo, e il suo colore abbiamo".
"non desidero nulla, se nel nulla potessi vivere, solo il lavoro"
"è triste vedere la propria creatura dibattersi e soffrire nell'impotenza.
Vederlo tornare a casa sfiduciato e piangente per essere stato ovunque respinto,
quasi cercasse carità e non lavoro".
Non sono da meno i problemi riguardanti l'abitazione, che per molti non è
che una topaia, la cantina, la grotta, la soffitta, o la drammatica coabitazione
ancora in uso nonostante gli anni trascorsi dalla fine della guerra:
"viviamo io mia moglie
e una bambina di quatro anni in una casa dirocata, piove abbiamo l'acqua, nevica
abbiamo la neve".
"ho 4 figli della quale 2 gemelle di 3 anni, che vivono nella miseria e
in una grotta, se così può chiamarsi una casa, che corre acqua
da per tutto".
"avevamo una casa
ora viviamo in una infernale coabitazione".
"sinistrati dal 1943 senza casa si vive in coabitazione, che non si può
andare assolutamente daccordo".
"mi trovo in mezzo alla strada senza casa e senza conforto, mi lasciano
dormire per carità al campo sportivo".
Le tante suppliche con richieste di aiuto da parte di giovani donne "sedotte e abbandonate", e le tante madri di famiglia abbandonate dal marito, sulle cui spalle pesa la responsabilità della sopravvivenza della famiglia stessa:
"mio marito collo stipendio del quale a malapena si viveva, è fuggito due mesi or sono con una donna, abbandonandoci, non so più dove sia. Era stanco che io fossi, sia pure non per colpa mia, ammalata, perciò se né andato lasciandoci nella miseria".
Ci sono i problemi relativi al mondo degli anziani che come al solito - insiemi ai bambini - sono i più colpiti della crisi. Anziani che dopo aver passato una vita di sacrifici si trovano ridotti a dover chiedere l'elemosina per poter vivere un giorno in più. Anziani infine, che chiedono anche solo un po' di conforto, di comprensione, e di una parola buona:
"si troviamo qui
sul solaio molto tristi desideriamo tutti i giorni la morte più tosto
che questa miseria".
"nei giorni delle feste vedo tanta gente che viene all'ospedale a trovare
i loro cari qui malati e vicino al mio letto non si ferma mai nessuno che mi
fa visita che mi porti due aranci due dolci, una parola di conforto"
Tutto questo porta molti di loro alla completa sfiducia, sia verso il prossimo
che verso se stessi. L'umiliazione è sorella della povertà, e
la delusione della vita porta tanti di loro a ragionare in termini altamente
drammatici:
"non sono vecchia
signorina, ho 42 anni ne dimostro 60, i dolori fisici rendono impossibile la
vita, i dolori morali uccidono".
"non ho mai trovato nessuno che mi avesse comprato almeno una boccetta
di veleno per farmi finire di tribolare. Tante volte la sera quando vado a dormire
prego di non svegliarmi più la mattina".
Ed infine i bambini. La quasi totalità delle lettere con richieste d'aiuto sono finalizzate all'amore per i propri figli; al giusto amore che va oltre il valore della propria vita. All'amore che fa perdere la dignità, che fa sopportare ogni privazione ed ogni dolore. All'amore che salva le vite umane. Non si potrà mai sapere quante vite umane siano state salvate dall'inconsapevole sofferenza dei bambini:
"sono disoccupata eppure nel vedere loro, il mio cuore si rimpicciolisce specie quando mi si domanda del pane ancora ed io non ho".
Le lettere in cui è focalizzato l'amore per i bambini sono senza dubbio le più cariche di calore umano, ed alcune di esse, o quantomeno alcune frasi, sembrano essere liriche poetiche che racchiudono in sé tutto ciò che una madre è disposta a fare per il bene del proprio figlio:
"le voglio troppo
bene, è l'unica persona al mondo che mi dia la forza di continuare a
vivere anche se la sorte mi è avversa. Creda pure che mi accade spesso
di pensare a cose assurde ma l'innocenza della mia bambina non mi permette di
farlo".
"accade talvolta di annullare la propria dignità - io lo ritengo
un dovere da parte di una madre - forse la sua mamma, se leggerà questa
mia, mi capirà. Il mio coraggio, trae le sue origini da un amore più
forte della morte, più sublime del sacrificio. Non si conoscono ostacoli
quando si vedono soffrire le proprie creature".
"che io sia più o meno infelice non conta, ma vorrei che il piccino
potesse vivere nella luce. Se questa mia vita non gli appartenesse, come vorrei
sacrificarla per dargli in cambio tutta la felicità del mondo - ma non
ne ho il diritto, la mia vita è una missione, e se ho covato dei sentimenti
oscuri, ho saputo chiuderli nel cuore, tramutando il pianto in riso, il desiderio
di togliermi la vita, con l'effimera gioia che può dare l'illusione della
felicità a chi ha gli occhi vergini ancora, a chi, come la mia creatura,
non conosce la pena".
"certi giorni mi sento talmente stanca al punto di abbandonare tutti e
di buttarmi in qualche posto, ma poi rifletto un momento solo e dico che non
posso. Non posso perché mi guardo a destra e ne vedo uno che sta morendo,
guardo a sinistra e vedo l'altro che sta agonizzando, e di qui non posso sfuggire,
non posso scappare perché non mi è assolutamente possibile".
Queste sono solo alcune frasi contenute nelle oltre 1600 lettere rimaste, e indirizzate a Rosina Bazzoni in quel lontano 1951. Lei, "la Rosina", morì il giorno di Natale dell'anno 1985. Aveva solamente 65 anni, la metà dei quali passati in povertà lavorando alacremente fin da bambina, e vivendo la triste condizione di orfana. Passò invece l'altra metà della sua vita nella ricchezza; mai sfacciatamente dimostrata, ma con altrettante note negative sulle sue spalle: la mancanza di figli propri, e la morte prematura del marito Franco Marcodini avvenuta 10 anni prima, quando Franco aveva solo 49 anni.
Immagini fotografiche
La copertina della Domenica del Corriere disegnata da W. Molino in occasione della vincita al totocalcio di Rosina Bazzoni
Rosina Bazzoni con due amiche fotografata il giorno della vincita